Domenica 20 novembre la beatificazione di P. Giuseppe Ambrosoli, missionario della Congregazione Comboniana. La solenne Santa Messa a Kalongo, dove ha lavorato come medico per 31 anni, è stata presieduta da mons. Luigi Bianco, nunzio apostolico in Uganda. Durante l’omelia ha sottolineato che don Ambrosoli guariva ferite fisiche e mentali. Ronago, città natale del nuovo beato, ieri era particolarmente legata anche a Kalongo, dove il cardinale Oscar Cantoni ha offerto una messa di ringraziamento.
con Leonida Zamuda SL – Città del Vaticano
Giuseppe Ambrosoli nasce il 25 luglio 1923. Dopo aver studiato medicina a Milano e Londra, entra nella Congregazione dei Comboniani nel 1951. Viene ordinato sacerdote il 18 dicembre 1955 e il 1° febbraio dell’anno successivo parte come missionario in Uganda.
Mons. Durante la beatificazione, Bianco ha parlato della testimonianza di vita del nuovo beato. Decise di diventare prete quando era già medico, dedicando tutta la sua vita a guarire le ferite del corpo e dell’anima viaggiando in Africa.
Un missionario è un ponte tra chiese e popoli
Secondo il nunzio, la sua risposta alla chiamata missionaria ha dato frutti significativi anche nell’ambito della fraternizzazione tra le due nazioni. Mons. Bianco ha sottolineato che il missionario rappresenta un ponte tra la Chiesa che lo ha inviato e la Chiesa che lo ha accolto. Era una sorta di gemellaggio tra Ronago nella provincia italiana di Como e Kalongo in Uganda, oltre che tra due popoli. Come ha detto il nunzio, i nuovi beati sono italiani e ugandesi.
Il regno di Cristo è un regno di amore
In occasione della solenne festa di Cristo, Re dell’Universo, mons. Durante l’omelia, Bianco ha ricordato anche il senso del regno di Cristo: ha dato la vita per amore e non ha cercato il potere. Secondo il nunzio, il suo regno è diverso dai regni del mondo, perché Dio non regna per aumentare il suo potere e opprimere gli altri; non governa con l’esercito e la forza. “Il suo regno è il regno dell’amore: quando dice ‘Io sono re’, Gesù spiega che è il ‘re’ del regno di coloro che sacrificano la propria vita per la salvezza degli altri, ha detto Mons. Bianco, e continua: ” Tutto ciò ispirò le decisioni di don Giuseppe Ambrosoli, che mise a disposizione le sue competenze mediche in luoghi dove all’epoca non si disponeva di molte conoscenze mediche, e così facendo non dimenticò mai di prendersi cura della persona nella sua interezza. vale a dire dolori fisici, ma anche ferite dell’anima».
Dio è amore e io sono il suo servo per la sofferenza
“Siamo invitati ad imitare le virtù eroiche del nuovo Beato: fede, speranza, amore, umiltà, bontà, pazienza, generosità, spirito di servizio, senso del dovere e disponibilità. Tutti quelli che lo conoscevano dicevano che era estremamente umile. Ha vissuto quello che ha detto: ‘Dio è amore e io sono il suo servo per le persone che soffrono'”.
Due mesi dopo l’ordinazione già in Uganda
Il nunzio ha inoltre ricordato che don Ambrosoli ha scritto il giorno della consacrazione della messa che vuole essere uno specchio per tutta la vita, la cui natura è quella di riflettere l’amore ricevuto da Dio. “Era completamente immerso nell’amore di Dio, quindi tutto ciò che faceva come uomo, come sacerdote, rifletteva l’amore di Dio per tutti, specialmente per le persone sofferenti”. Dopo due mesi di sacerdozio, era già in Uganda e, come racconta mons. Bianca, con lui è iniziato un grande capitolo del vangelo dell’amore. Persone provenienti da tutto il paese sono venute all’ospedale di Kalong, dove ha lavorato per 31 anni. Tornarono a casa guariti nel corpo e nella mente. Come medico, padre Ambrosoli è molto famoso, ma ha sempre detto che era essenziale che si rivelasse la gloria di Dio. Ha scritto che si sforza di cercare la gloria di Dio e il bene delle anime, pur essendo umile, evitando gli onori e rendendosi conto che il successo è sempre un dono di Dio.
Due altari: l’altare dell’Eucaristia e il tavolo operatorio
La gente si chiedeva da dove prendesse la forza per tutto ciò che viveva: nella preghiera, che era il fondamento della sua forza, del suo zelo e della sua disponibilità. Pregava la mattina presto e la sera tardi, sotto il cielo stellato. Lui stesso ha detto che è necessario entrare nel cerchio della Santissima Trinità per poter respirare con entrambe le ali dei polmoni: contatto con il Signore nell’Eucaristia e servizio disinteressato ai malati. Si potrebbe dire che fossero per P. Ambrosoli a Kalong due altari: l’altare dell’Eucaristia e il tavolo operatorio dell’ospedale. Come due mani reggono l’ostia, così, con la stessa riverenza, due mani servono anche i malati che hanno bisogno di aiuto.
Allegro, speranzoso anche nelle prove
Era sempre felice, con il sorriso sulle labbra, pieno di speranza, anche nelle prove. Lui stesso aveva problemi di salute e dovette affrontare molte sfide nella sua missione. Nel 1982 la sua salute peggiorò. Quando è scoppiato un conflitto armato nelle vicinanze, stava aiutando tutti. Quando fu dato l’ordine di lasciare la missione e l’ospedale, confortò i suoi confratelli con queste parole: “Coraggio! Questo è il momento in cui dobbiamo capire perché siamo venuti qui.” Il 27 marzo 1987, si addormentò nel Signore e si consegnò a Lui anima e corpo con le seguenti parole: “Signore, sia sempre fatta la tua volontà”.
Al termine della sua omelia, il Nunzio in Uganda ha affermato che l’ospedale e la scuola per ostetriche di Kalongo sono stati la vita di P. Ambrosoli e ne hanno rappresentato l’eredità, che deve continuare e crescere con la collaborazione di tutti.
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