L’Italia come laboratorio

Ventiquattro anni dopo la rivoluzione politica post-Guerra Fredda di Silvio Berlusconi che spazzò via la cosiddetta Prima Repubblica, l’Italia è ancora una volta un laboratorio. Proprio come il magnate dei media scrisse il manuale del populismo all’inizio degli anni ’90, molto prima di Trump e della Brexit, creò un partito dal nulla e in pochi mesi divenne il primo ministro più longevo dopo Mussolini, allo stesso tempo stiamo assistendo un terremoto di grande magnitudo. La Seconda Repubblica ha detto addio, le forze dominanti nella politica italiana sono state spinte alla periferia e, fino a poco tempo fa, partiti relativamente insignificanti hanno invaso la scena politica. L’Italia è un luogo perpetuo di “instabilità politica” e di “crisi politica”, anche se in questo secolo ha avuto solo un governo in più rispetto ai Paesi Bassi “stabili”. È però uno dei paesi fondatori della Comunità Europea, la terza economia della zona euro, debole ma indispensabile – piccolo grande paese –, ormai più vicino a Budapest che a Bruxelles.

L’isteria con cui l’establishment saluta il trionfo del “populismo” su un sistema stabile è ridicola. Populista e nazionalista non sono solo Luigi Di Maio del Movimento 5 Stelle e Matteo Salvini a capo della Lega, il populismo come stile politico ha caratterizzato i due ex premier tradizionali, Berlusconi e Matteo Renzi. Il primo ha trasformato la politica in un circo e ha avvicinato il post-fascismo al mainstream politico, il secondo ha distrutto la speranza di un nuovo inizio e della sinistra un tempo più forte in Occidente; entrambi demolirono il sistema politico italiano. In nome della tutela del progetto europeo, l’Europa ha visto in loro un salvatore.

La prima domenica di marzo ha cambiato radicalmente la geografia politica dell’Italia come la conoscevamo da 25 anni. Il Paese è diviso, ma le differenze tra sinistra e destra sono quasi scomparse; la linea di demarcazione non è ideologica, è geografica e sociale. Più eloquente dell’interpretazione è la visione dello stivale bicolore: con il nord, che apparteneva alla Lega nazionalista di estrema destra, e il sud, con le Isole, dove ha vinto il Movimento di protesta 5 Stelle. Le forze di protesta hanno ottenuto il 55% dei voti, con il Partito Democratico, con il suo peggior record nel dopoguerra, che ha conservato solo una stretta striscia di territorio da Ravenna sull’Adriatico a Livorno sulla costa tirrenica. L’Italia sembra spaccata in due, a dimostrazione del fallimento storico dell’unità dello Stato italiano.

L’alta politica non è mai stata presa in considerazione Mezzogiorno, il primo ministro uscente Paolo Gentiloni è stato il primo a riconfermare un ministro del Sud dopo 23 anni. L’attuale ribellione contro la casta dominante è legata alla disuguaglianza economica, alla povertà e all’esclusione sociale, alla rabbia verso le banche e gli immigrati. Il Nord sviluppato e il Sud sottosviluppato come se non fossero nello stesso Paese, il risultato elettorale ha rivelato la debolezza nazionale e statale: essenzialmente due Italie. Grande è l’egemonia del Nord, lo è la cultura politica del centrodestra, che dopo il 1994 incarna forzaleghismoun orientamento politico che unisce i sostenitori di Naprej, dell’Italia e della Lega e che forza solo il Nord.

Ora entrano in scena nuovi protagonisti. Il giovane Di Maio, a cui Beppe Grillo ha lasciato il M5S, movimento anti-casta fondato nel 2009; il nuovo arrivato ha presentato un volto più morbido a questo gruppo eterogeneo: si differenzia dal resto delle formazioni populiste in Europa, non può essere classificato nel tradizionale paradigma sinistra-destra. E Salvini, che ha abilmente trasformato la Lega Nord secessionista di Umberto Bossi in un fisico partito nazionale. Con il 18% si è dichiarato leader della coalizione conservatrice, diversa da quella liberale di Berlusconi dopo il 4 marzo. Salvini e Di Maio vorrebbero diventare premier.

Siamo all’inizio di una fase completamente nuova: la coalizione romana, come ha scritto un quotidiano europeo, non si costruirà in un giorno. Ma una cosa è certa: nessun partito o coalizione ha ottenuto abbastanza voti per governare da solo. Il voto elettorale non può trasformarsi in maggioranza parlamentare e in ipotesi di governo.

Tutti speculano sulle votazioni passate, sul governo che non c’è e potrebbe non esserci, su come il presidente Sergio Mattarella risolverà l’enigma, il suo compito è garantire stabilità al Paese. E soprattutto qual è il male minore? Il paladino dell’estrema destra Salvini con il suo profilo xenofobo è tossico, accanto a lui c’è Giorgia Meloni, leader del partito Fratelli d’Italia, erede dei fascisti. Uno dei temi politici più esposti è la possibilità di una coalizione tra il Movimento 5 Stelle, di sinistra in diversi ambiti e favorevole al reddito di base universale, e la Lega di estrema destra.

Di Maio ha proclamato la “terza repubblica dei cittadini”, vale a dire la fine della seconda, definita dal bipolarismo di Berlusconi. Già con le elezioni del 2013 il sistema politico italiano è diventato tripartito e il movimento antisistema si è infiltrato nelle forze politiche centrali. Poi ha emarginato la sinistra, che ormai sfiora il 33 per cento, non ha la maggioranza assoluta, ma Palazzo Chigi è vicino. Difficile immaginare la Terza Repubblica senza le cinque stelle.

Forse è più appropriato parlare di “repubblica senza legami” piuttosto che di terza repubblica, ha scritto dopo le elezioni. Corriere. Probabilmente le frizioni tra nord e sud saranno più acute, ci sono sempre state, è difficile tenere insieme Lombardia e Sicilia, Veneto e Calabria. Il risultato elettorale non ha diviso trasversalmente l’Italia, ma l’ha divisa in blocchi, con questi ultimi che hanno ulteriormente complicato la formazione di un nuovo governo. Se l’Italia è il contenitore di diverse Italie, allora l’arte di governare sarà quella di prevenire i conflitti frontali.

Giuliano Presutti

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