Se il presidente del Consiglio giudiziario arriva fino a quel punto Vladimir Horvat In Sto lavorando del 1° dicembre (nell’intervista “Questo è un tentativo di sottomettere la magistratura”), ciò significa che la tensione tra la magistratura e i due poteri politici (cioè più chiaramente politico della magistratura) è al suo culmine. sull’orlo di un conflitto aperto – e che debba quindi essere un osservatore esterno a commentare questo conflitto con grande cautela per non esacerbare la tensione. Pertanto, in questo articolo cercherò di scrivere i pensieri che mi vengono in mente nel modo più accurato e accurato possibile. Tanto più che adesso i giudici (uno dei tre poteri del governo?!) minacciano già molto chiaramente il governo e il potere legislativo: “Se non ci pagate subito, come ha deciso la Corte Costituzionale, andremo avanti sciopero!”, non è difficile immaginare cosa pensano (quei) cittadini che sono (più o meno equamente) colpiti dalle cattive decisioni dei tre rami del governo – preferisco non soffermarmi su questo argomento. Forse (nel modo più mite) modo) Posso solo scrivere che i giudici si riclassificano così dallo status di detentori del potere a quello di dipendenti del potere contro i quali scioperano per ottenere salari più alti. Per risolvere le controversie tra i tre rami del governo, la Costituzione prevede e autorizza mezzi diversi (e l’uso di alcuni di essi è già annunciato in questa intervista) – è troppo sperare che almeno i giudici rispettino la Costituzione? E che essa debba rispettare non solo le parole (o i silenzi) di un individuo articolo, ma soprattutto il senso della Costituzione nel suo complesso – è tenuto a dirlo ai giudici?
Matevž Krivic, avvocato ed ex giudice costituzionale. FOTO: Jure Eržen/Delo
Altro commento: se la suddetta minaccia contro i giudici viene comunicata al pubblico dal presidente di un organo che non è un organo della magistratura stessa, ma dovrebbe essere un organismo di controllo democratico sulla magistratura, e che questo presidente è un giudicare se stesso – e quello? Secondo me qui c’è qualcosa di gravemente sbagliato, purtroppo a causa del “merito” della Costituzione, che lo consente, anche a condizione che i giudici di questo organo abbiano la maggioranza. Fin dall’inizio mi sono fortemente opposto a questa disposizione costituzionale, considerandola antidemocratica e un ostacolo essenziale (anche simbolico) al vero controllo democratico su questo ramo del governo. Per l’adozione della Costituzione mi sono basato sulle eccellenti posizioni della teoria del diritto costituzionale tedesco, che non posso ripetere qui in un articolo di giornale. So, naturalmente, che in Europa e nel mondo prevaleva il punto di vista opposto (che i giudici dovrebbero avere la maggioranza in tali organi) – a mio avviso, senza argomenti forti e convincenti.
Nel nostro Paese stiamo cercando di mitigare questo “conflitto di interessi” con la maggioranza dei due terzi richiesta per le decisioni importanti di questo organo – ma a questo dobbiamo aggiungere almeno la disposizione secondo cui questo organo di controllo democratico sul potere giudiziario non può essere presieduto da un giudice. Un confronto interessante: dopo la modifica della Costituzione britannica nel 2005, i giudici delle corti superiori vengono nominati dalla Commissione per le nomine giudiziarie composta da 15 membri, nella quale i membri laici sono in minoranza rispetto ai giudici – ma il presidente non dovrebbe essere un giudice. (Oppure il modello italiano, peraltro molto diverso dal nostro, dove il Consiglio giudiziario è presieduto dal Presidente della Repubblica – e i giudici non hanno la maggioranza!) Grazie a tutto quello che viene qui brevemente descritto, ciò non sorprende. che il pubblico non professionale, ma sempre più anche quello professionale, non percepisce più il Consiglio giudiziario come un organo di controllo democratico sul potere giudiziario, ma piuttosto come una parte del potere giudiziario. Purtroppo, anche per il “merito” della Costituzione, che qui richiederebbe un intervento molto più profondo di quanto attualmente previsto.
È troppo chiedere che almeno i giudici rispettino la Costituzione? E che bisogna rispettare non solo le parole (o i silenzi) di un singolo articolo, ma soprattutto il senso della Costituzione nel suo insieme – è tenuto a dirlo ai giudici?
Veniamo ora all’attuale contrarietà del nostro Consiglio giudiziario, così formato, alla proposta su come aumentare il numero dei membri di questo organo e su chi dovrebbe scegliere i membri esterni. In particolare, il Consiglio di Giustizia si oppone a questa seconda soluzione: se ho capito bene le parole del presidente, innanzitutto l’Assemblea nazionale nominerebbe i membri di questo organo di esperti giuridici (come il “comitato 255” nell’UE), che poi proporrà chi dovrebbero essere questi stranieri: membri del consiglio giudiziario. Ciò influenzerebbe quindi solo la nomina degli esperti giuridici (certamente ideologicamente e politicamente diversi, come i deputati – è questa la radice del problema?) e quindi solo indirettamente su quali non giudici questo organismo gli proporrà per le future procedure. E si tratterebbe di una “politicizzazione inammissibile della selezione” di questi membri esterni del consiglio giudiziario?
Chiunque si sforzi e impari come questo compito molto difficile e delicato (chi nomina i giudici e come) viene risolto altrove nel mondo democratico non può che sorridere con condiscendenza di tali accuse. La questione è regolata in modo diverso praticamente in tutti i paesi, non esiste un modello uniforme, ma da nessuna parte viene esclusa in un modo o nell’altro la partecipazione dei politici eletti. Occorre solo impedire che l’autorità politica (il governo) possa nominare giudici “a sua immagine” – ma in nessun caso la “politica”, in particolare ovviamente il parlamento democraticamente eletto, possa esercitare un’influenza adeguata nel processo decisionale. scelta dei giudici giudici. giudici professionalmente e moralmente competenti. Tuttavia, in una società democratica – affinché il potere giudiziario abbia almeno indirettamente un’origine democratica – le modalità di selezione dei giudici devono essere organizzate in modo tale da impedire la “riproduzione corporativa” del potere giudiziario. Questa “riproduzione corporativa” porta di per sé a un sistema in cui i giudici attuali hanno un’influenza decisiva sulla selezione dei nuovi giudici, anche con la maggioranza nel consiglio giudiziario, ancor più di quanto altri membri del consiglio giudiziario siano anch’essi giuristi strettamente imparentati. alla magistratura (insegnanti, avvocati, ecc.) – se durante il loro incarico non è assicurata la necessaria pluralità democratica. In un Paese in transizione, dove l’influenza della mentalità giudiziaria del periodo pre-democratico non è del tutto scomparsa, ciò è tanto più importante.
Il paragone con la semi (se non più) sfortunata “depoliticizzazione” della RTV pubblica è ovvio. Se il Parlamento si esclude dalla nomina dei membri del consiglio d’amministrazione della RTVS e lascia questo compito alle organizzazioni non governative, ma a quelle selezionate in modo parziale e non plurale, non si tratta ovviamente di una “necessaria depoliticizzazione” della RTV pubblica (più precisamente: garantendone l’imparzialità e la pluralità). Il “successo” personale (e programmatico e finanziario) già raggiunto era necessario, ma purtroppo non significa la “depoliticizzazione” di cui la RTV pubblica avrebbe bisogno. La legge che autorizza una composizione chiaramente non plurale del consiglio d’amministrazione della RTVS è per me chiaramente incompatibile con la Costituzione. Nella composizione del Consiglio giudiziario, il mantenimento di un’influenza adeguata, ma molto indiretta, del parlamento plurale democraticamente eletto sulla selezione dei giudici non significa una politicizzazione incostituzionale di questa procedura, ma la preservazione della base democratica necessaria per la nomina dei giudici. giudici. dei giudici e la prevenzione del pericolo di “riproduzione corporativa” della magistratura.
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Matevž Krivic, ex giudice costituzionale.
Il contributo rappresenta l’opinione dell’autore e non riflette necessariamente il punto di vista degli editori.
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