Boris Pahor non apparteneva a nessuno dei movimenti totalitari emersi in Europa dopo la prima guerra mondiale, poiché nessuno di loro ha fatto concessioni a lui e alla sua nazione, hanno scritto i media italiani al momento della sua morte.
Boris Pahor in una delle sue ultime interviste
© YouTube / Libro dei giovani
In occasione della scomparsa dello scrittore triestino Boris Pahor, i principali media italiani hanno oggi descritto in modo approfondito il suo lavoro e la sua carriera. Hanno sottolineato il valore letterario delle sue opere, e soprattutto l’importanza della sua memoria e il ricordo degli orrori del nazismo e del fascismo e dell’oppressione della minoranza slovena in Italia.
Il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz ha salutato Pahor e la sua “memoria storica delle atrocità” contro le minoranze su La Repubblica di Roma con un dettagliato necrologio. Come ha scritto, la longevità di Pahor “potrebbe essere stata una vendetta per il fascismo, che gli ha privato di 25 anni della sua vita e gli ha impedito di parlare la sua lingua”.
“Era una risposta all’ostracismo di chi, dopo la guerra, non voleva sapere che in un paese “italianissimo” c’era un uomo capace di scrivere in un’altra lingua, soprattutto se si ostinava a scardinare l’oblio in un paese dove il fascismo aveva fatto di peggio. Era conosciuto in tutto il mondo, tranne che in patria. Non vide la caduta di questa barriera fino all’età di 95 anni, quando il suo capolavoro Necropolis sull’internamento in un campo nazista fu scongelato dopo 40 anni e tradotto in italiano”, ha sottolineato Rumiz.
“Era una risposta all’ostracismo di chi, dopo la guerra, non voleva sapere che in un paese “italianissimo” c’era un uomo capace di scrivere in un’altra lingua, soprattutto se si ostinava a scardinare l’oblio in un paese dove il fascismo aveva fatto di peggio. Era conosciuto in tutto il mondo, tranne che in patria. Non vide la caduta di questa barriera fino all’età di 95 anni, quando il suo capolavoro Necropolis, sull’internamento in un campo nazista, fu scongelato dopo 40 anni e tradotto in italiano.”
Paolo Rumiz,
giornalista triestino
Come ha aggiunto, Pahor ricordava spesso l’incendio appiccato nel 1920 dalle camicie nere nella Casa Nazionale Slovena a Trieste. “Queste fiamme, che vide da bambino, furono per lui l’inizio del male, dell’oppressione razziale, iniziata in Italia prima ancora che in Germania. Trieste era un luogo amato e maledetto, dove si immaginava lo sterminio degli Slavi ( che italianizzarono a decine di migliaia) e dove Mussolini annunciò leggi antiebraiche tra folle inferocite e giubilanti», ha ricordato Rumiz.
“Si parla sempre meno dei fascisti e della guerra che hanno iniziato, così che la memoria si concentri meglio sulle mode, la vendetta delle ‘orde comuniste slave’ contro chi ha perso la guerra. Quando il comune di Trieste ha offerto a Pahor l’incarico di cittadino onorario, non ha fatto cenno al fascismo nella biografia dello scrittore, il vecchietto ha fiutato una truffa e ha rifiutato il regalo avvelenato”, ha avvertito Rumiz su La Repubblica, tra gli altri.
La notizia della fama di “grande scrittore e intellettuale” considerato “il più grande scrittore sloveno in Italia e una delle voci più importanti nella tragedia delle deportazioni nei campi di concentramento nazisti” e della “discriminazione della minoranza slovena a Trieste durante il fascismo regime” è stato pubblicato anche dall’agenzia di stampa italiana Ansa.
Sempre sul sito del quotidiano triestino Il Piccolo, la notizia titola la morte di “un simbolo delle tumultuose vicende del confine orientale”, che “assistì all’incendio della Casa Nazionale e subì la persecuzione fascista, la deportazione in un campo e il blocco della Jugoslavia di Tito perché non era d’accordo con il regime comunista”. Il giornale ricorda anche che Pahor è il destinatario di grandi onori dall’Italia e dalla Slovenia.
Nel 2010 ha rifiutato il riconoscimento da parte del Comune di Trieste, adducendo solo le sofferenze subite nei campi nazisti, ma non gli abusi subiti sotto il regime di Benito Mussolini.
Il Corriere della Sera afferma anche che uno scrittore sloveno che ha raccontato gli orrori dei campi di concentramento ha detto addio. «Pagò la sua appartenenza a una minoranza linguistica anche nel dopoguerra come scrittore, perché il valore delle sue opere, soprattutto in Italia, fu riconosciuto con enorme e allarmante ritardo (…). Nonostante la sua innegabile eccellenza letteraria, che avvicina alle opere di Primo Levi, la Necropoli, scritta in sloveno, ha dovuto attendere 30 anni per essere tradotta in italiano nel 1997 (…), ma è stata pubblicata solo nel 2008 dall’editore nazionale Fazi con una prefazione di Magris”, avverte il quotidiano.
“Nonostante le tante onorificenze che gli sono state conferite, Pahor è rimasto una personalità schietta e antipatica. Non ha esitato a criticare il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel 2007 ha condannato fermamente i crimini dei partigiani jugoslavi, senza menzionare quelli che aveva precedentemente perpetrato dall’Italia fascista contro la popolazione slava. E nel 2010 ha rifiutato il riconoscimento del Comune di Trieste, adducendo solo le sofferenze patite nei campi nazisti, non i soprusi subiti sotto il regime di Benito Mussolini. Non ha fatto concessioni a nessuno dei i movimenti totalitari apparsi in Europa dopo la prima guerra mondiale, perché nessuno di loro fece concessioni a lui e alla sua nazione”, scriveva anche il Corriere della Sera.
TWMT6V9ipVM
LEGGI ANCHE:
“Fanatico di Internet. Organizzatore malvagio. Fanatico della TV. Esploratore. Appassionato di social media amante degli hipster. Esperto alimentare certificato.”