Sabato 18 marzo Papa Francesco ha accolto in udienza i giovani impegnati nella formazione socio-politica nell’ambito del progetto Policoro della Conferenza Episcopale Italiana. Durante l’incontro ha detto che oggi “la politica non ha una buona reputazione” soprattutto perché è inefficace e lontana dalla vita delle persone. Ha sottolineato che un buon politico dovrebbe coinvolgere le persone, alimentare l’imprenditorialità e dare loro il senso della bellezza dell’appartenenza alla comunità.
con Leonida Zamuda SL – Città del Vaticano
Dal 1995 il progetto Policoro opera nell’ambito della Conferenza Episcopale Italiana. Mira a risolvere il problema della disoccupazione giovanile, in particolare attraverso la formazione ad una nuova cultura del lavoro. Promuove e sostiene l’attività imprenditoriale, tenendo conto della sussidiarietà, della solidarietà, della legalità e dei principi coerenti con la dottrina sociale della Chiesa.
Dopo i saluti iniziali, il Santo Padre ha innanzitutto ricordato che l’esigenza del Progetto è venuta “dal basso”, dalla necessità che i giovani “si formino al servizio della società e della politica” e di poter partecipare alla formazione dei altri giovani. Il Papa si è poi soffermato sul tema della pace, che quest’anno è al centro delle loro attività. “Questo è un tema che non dovrebbe mancare nel campo della formazione socio-politica, ma purtroppo, a causa della situazione attuale, è anche necessario. La guerra è la sconfitta della politica. Va sottolineato: la guerra è la sconfitta della politica. Si nutre di veleno, che vede l’altro come un nemico. In tempo di guerra, possiamo vedere con i nostri occhi l’assurdità di armarsi e usare le armi per risolvere i conflitti. Qualcuno mi ha detto che potremmo eliminare la fame nel mondo se lo facessimo non fabbricare armi per un anno, per cui è necessaria una “politica migliore” (cfr Fratelli tutti, Capitolo 5), che presuppone esattamente quello che stai facendo, vale a dire. educazione alla pace. È responsabilità di tutti. Bisogna fare la guerra, ma in un altro modo serve una guerra interiore, una guerra con noi stessi, per lavorare per la pace.
Oggi la politica non ha una buona fama, soprattutto tra i giovani, perché vede scandali e tante cose che tutti sappiamo. I motivi sono tanti, ma come non pensare alla corruzione, all’inefficienza, all’alienazione dalla vita delle persone? Ecco perché la politica giusta è ancora più necessaria. E sono le persone che fanno la differenza. Lo vediamo nelle amministrazioni locali: fa la differenza se il sindaco o l’assessore è disponibile o meno; una è la politica che ascolta la realtà, ascolta i poveri, e l’altra è la politica rinchiusa nei palazzi, quella politica “distillata”.
Mi viene in mente la storia biblica del re Acab e della vigna di Nabot. Il re vuole appropriarsi della vigna di Nabot per allargare il suo giardino; ma Nabot non vuole e non può venderla, perché questa vigna è l’eredità dei suoi padri. Il re è arrabbiato e “cucina un mulo”, come un bambino viziato. Così sua moglie, la regina Jezebel, risolve il problema rimuovendo Nabot con una falsa accusa. Così Nabot viene ucciso e il re prende la sua vigna. Achab rappresenta la politica peggiore; quello che va avanti e si fa spazio liquidando gli altri; che non difende il bene comune, ma gli interessi particolari e usa tutti i mezzi per realizzarli. Achab non è un padre, è un padrone e il suo dominio è dominio. Sant’Ambrogio scrisse un opuscolo su questa storia biblica intitolato La vigna di Nabot. In un punto, rivolgendosi ai potenti, Ambrogio scrive: «Perché respingi coloro che condividono i beni della natura, e pretendi solo per te il possesso dei beni naturali? La terra è stata creata in comunità per tutti, per i ricchi e i povero. […] La natura non sa chi sono i ricchi, colei che partorisce tutti ugualmente poveri. Quando nasciamo non abbiamo vestiti, non veniamo al mondo coperti d’oro e d’argento. Questa terra ci dà cibo, vestiti e bevande nudi. Natura […] ci crea tutti uguali e ci racchiude tutti uguali nel seno del sepolcro» (1,2). Questa piccola ma preziosa opera di sant’Ambrogio ti sarà utile nella tua formazione. La politica, che esercita il potere come dominio e non come finché serve, non sa prendersi cura, calpesta i poveri, sfrutta la terra e scatena conflitti con la guerra, non sa dialogare.
Come esempio biblico positivo, possiamo prendere il personaggio di Giuseppe, figlio di Giacobbe. Ricorda che per invidia i suoi fratelli lo vendettero come schiavo e fu portato in Egitto. Lì, dopo alcuni eventi, viene rilasciato, entra al servizio del faraone e diventa una specie di deputato del re. Jožef non si comporta come un signore, ma come un padre: si prende cura della terra; quando sopraggiunge la carestia, organizza scorte di grano per il bene comune, tanto che il faraone dice al popolo: “Fate come [Jožef] dice ” (Genesi 41,55) – la stessa frase che Maria dirà ai servi alle nozze di Cana riguardo a Gesù. Giuseppe, che ha subito personalmente l’ingiustizia, non cerca i suoi interessi, ma gli interessi della gente, lui personalmente paga per il bene comune, diventa artigiano di pace, queste relazioni capaci di rinnovare la società. Scrive don Lorenzo Milani: “Il problema degli altri è uguale al mio. Se vogliamo uscirne insieme, è la politica Se vuoi cavarsela da soli, è avidità”. È così semplice.
Questi due esempi biblici, uno negativo e l’altro positivo, ci aiutano a capire quale spiritualità può nutrire la politica. Sottolineerò solo due aspetti: tenerezza E fertilità. La tenerezza «è l’amore che si fa vicino e concreto. […] Questa è la strada intrapresa dagli uomini e dalle donne più coraggiosi e forti. In mezzo all’attività politica, dobbiamo essere mossi dai più piccoli, dai più deboli, dai più poveri: loro hanno il ‘diritto’ di toglierci l’anima e il cuore” (Circolare Fratelli tutti, 194). La fecondità è il risultato della condivisione, della visione a lungo termine, del dialogo, della fiducia, della comprensione, dell’ascolto, del tempo dato, delle risposte preparate e non differite. Significa guardare al futuro e investire nelle generazioni future; avviare processi e non occupare spazi. Questa è la regola d’oro: la tua attività è lì per occupare spazio? Non funziona. Per il tuo gruppo? Non funziona. Il tempo è al di sopra dello spazio.”
Al termine del suo discorso, il Santo Padre ha rivolto ai giovani alcune domande che ogni buon politico dovrebbe porsi: “Quanto amore ho messo nel mio lavoro? Come ho fatto avanzare le persone? ho lasciato nella vita della società? Quali collegamenti reali Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Cosa ho fatto nella funzione affidatami? (ibid., 197). La tua preoccupazione non deve essere il consenso elettorale o il successo personale, ma l’inclusione delle persone, l’imprenditorialità, il far fiorire i sogni, il permettere alle persone di sentire la bellezza di appartenere a una comunità. La partecipazione è un balsamo sulle ferite della democrazia. Vi invito a contribuire, partecipare e invitare i vostri coetanei, sempre con uno scopo e uno stile di servizio. Un politico è un servitore; quando un politico non è un servitore, è un cattivo politico; non è un politico.
Grazie per l’impegno. Vai avanti e fatti accompagnare da Maria. Vi benedico di cuore e vi chiedo di pregare per me. Grazie.”
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