Sono passati 60 anni dall’incidente mortale del Vajonto, in Italia, in cui morirono quasi 2.000 persone. Nel 1963, una frana nel Vajonto, al confine tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia, scivolando dal Monte Toc nel bacino, provocò un’onda che seppellì il paese di Longarone e diversi paesi sottostanti.
In Italia oggi ricordiamo uno dei peggiori disastri naturali del XX secolo in Europa. In questo giorno del 1963, alle ore 22,39, gran parte del Monte Toc si staccò e cadde nel bacino del Vajont. L’acqua straripò dalla diga, all’epoca la più alta del mondo, spazzando via il paese di Longarone e i vicini paesi della Valle del Piave, danneggiando gravemente gli insediamenti di Erto e Casso nella FJK. Quasi duemila persone morirono in soli sette minuti.
In occasione di questo anniversario, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scritto sul social X che “60 anni dopo, il ricordo del Vajont resta un monito per tutti noi”. “Non dobbiamo dimenticare quanto costò l’irresponsabilità umana alla comunità in quella terribile notte del 9 ottobre 1963, la quale era pienamente consapevole dei rischi, ma non se ne preoccupava”, ha avvertito.
Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha reso omaggio alle vittime e oggi è venuto a Longarone anche il presidente della FJK. Massimiliano Fedriga, riferisce Primorsky dnevnik. “La tragedia accaduta qui è legata a una grande responsabilità umana, a decisioni pessime che furono condannate dagli osservatori già prima dell’incidente”, ha dichiarato in particolare Mattarella.
La diga del bacino del Vajont fu costruita negli anni 50. Geologi ed esperti indipendenti avevano avvertito fin dall’inizio che la diga e la centrale idroelettrica si trovavano in una zona pericolosa, ma la società Sade, che aveva progettato la diga, e le autorità competenti non hanno tenuto conto dei loro avvertimenti. I giornalisti che hanno riferito del potenziale disastro sono stati perseguiti, riferisce il giornale.
La società ha affermato di aver effettuato propri studi geologici, presumibilmente dimostrando che la montagna era stabile. Sebbene non si sia trattato di una catastrofe naturale, bensì di un incidente causato dalla negligenza umana e dall’avidità di profitto, come stabilito anche dai tribunali, i responsabili in un modo o nell’altro sono sfuggiti al processo e al carcere, scrive il quotidiano triestino Primorski dnevnik.
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